Tutto il bello che c’è… oltre il Tg

Sono molto emozionata per questa intervista, nella quale Silvia Vaccarezza e Assunta Corbo hanno accettato di raccontare per me e per voi lettori questo progetto importantissimo. Sì, perché “Tutto il bello che c’è… oltre il Tg” merita di essere accolto con grande entusiasmo. Non voglio dire altro, voglio lasciar parlare loro.

Tutto il bello che c’è… oltre il Tg” è molto di più di un libro, peraltro meraviglioso. È un progetto. Come è nato e perché?

Silvia. Tutto il bello che c’è è nato nel 2008 come progetto mio e di Maria Grazia Capulli, amica e collega del Tg2. Dopo esserci occupate per tanti anni delle notizie dei telegiornali che, spesso, assomigliano a bollettini di guerra tra cronaca nera, cataclismi e guerre abbiamo avuto l’idea di creare uno spazio di buone notizie nel quale raccontare tutta quella parte della società che si dà da fare che poi rappresenta la maggior parte della popolazione perché, se così non fosse, vivremmo nel far west o ci saremmo estinti da tempo. tutto il bello che c'è
E così abbiamo pensato di dar voce alle tante persone normali che compiono imprese straordinarie: imprenditori che oltre che al profitto guardano al pianeta e al benessere dei propri dipendenti; giovani che si inventano nuove occupazioni in linea con i loro talent; professori e maestre che credono in una scuola innovativa, capace di insegnare  a riconoscere e gestire le proprie emozioni; disoccupati che prendono in mano la loro vita e realizzano sogni nel cassetto per troppo tempo messi da parte dalla routine e scoprono che possono anche essere redditizi; volontari che dedicano parte del loro tempo agli altri o a cause in cui credono; medici che, con la loro dedizione, contribuiscono alla buona sanità che caratterizza gran parte dell’Italia; scienziati e ricercatori che, con impegno ed entusiasmo, portano avanti scoperte in tutti i campi. Persone che hanno superato momenti bui, che considerano un’opportunità i loro handicap fisici. In una parola, tutto il bello che c’è si occupa di chi affronta la vita con il sorriso e ogni giorno si impegna per fare al meglio quello che è chiamato a fare che si tratti di un chirurgo o di un operatore ecologico. Perché crediamo che l’ottimismo sia contagioso, le buone pratiche creano circoli virtuosi e allenarci a guardare le cose che ci accadono anche da un’altra visuale regala forza e consapevolezza e raccontare tutto questo è un modo per declinare al meglio il ruolo di servizio pubblico che ha la Rai.

Mi colpisce la precisazione del titolo “oltre il Tg”. Quanto ancora è presente il mantra ‘Good news is no news’?

Silvia. “Good news is no news” è un concetto che ancora resiste in chi fa informazione ma c’è  un desiderio crescente di buone notizie da parte delle persone. Il nostro spazio ha visto la luce nel Tg2 nel 2014 e, di anno in anno, gli ascolti salgono e soprattutto aumentano gli ascoltatori che ci scrivono per segnalarci le loro buone notizie e ringraziarci perché diamo ci dicono ‘una boccata di ossigeno ed entusiasmo’. Sono tante ormai le tv e i giornali che hanno programmi e rubriche di buone notizie: il Washington Post, l’Herald Tribune, la Bbc dedicano loro uno spazio settimanale. Il Corriere della Sera ha l’inserto del martedì dedicato alle buone notizie.  I grandi network iniziano a capire che il positivo fa notizia e un dato da non trascurare è anche l’effetto antidepressivo delle buone notizie, capaci di stimolare la serotonina conosciuta come l’ormone del buon umore. Un effetto dal valore inestimabile, che protegge il nostro campo energetico che, viceversa, collassa con le brutte notizie.

Guardiamo sempre ciò che ci manca e non guardiamo mai ciò che abbiamo. È questo il motivo per cui è così difficile vedere “tutto il bello che c’è”?

Assunta. Hai centrato il punto, Cecilia. Il nostro cervello è – per una questione evolutiva – abituato a identificare i pericoli e proteggerci. Si mette sulla difensiva e, come un radar, cerca nella realtà ciò che può farci male. Un atteggiamento insito nell’essere umano. La buona notizia è che questo approccio alla vita si può modificare allenando il nostro cervello a spostare l’attenzione verso ciò che ci fa stare bene. In questo senso, la gratitudine si rivela una scelta potente: stimola la nostra mente a guardare anche altrove e, con la pratica quotidiana, si finisce per cambiare atteggiamento. Arriva un momento in cui ci si rende conto di aver perso l’istinto alla protezione a tutti i costi e si è entrati in connessione con la gioia di poter dire: sono felice, ora.

Le storie che compongono questo libro come sono state scelte?

Silvia. Le storie che compongono questo libro sono quelle che, in qualche modo, mi sono capitate tra le mani nel mese di agosto in cui ho pensato di scrivere il libro. Ad esempio, Assunta l’avevo intervistata l’anno precedente, ma in quei giorni mi scrisse per segnalarmi delle nuove conquiste fatte seguendo la pratica della gratitudine; così anche Gianpietro Ghidini che, dopo aver perso un figlio per una pasticca di ecstasy, dedica la vita ad aiutare quanti più ragazzi possibile e in quello stesso mese era alle prese con il suo nuovo libro in cui metteva a nudo le sue debolezze di padre e mi mandò un capitolo da leggere. Perché con “tutto il bello che c’è” i rapporti non si interrompono mai, chi è stato in tv a raccontare la sua storia crea con noi un legame che dura e si arricchisce ogni giorno. Nel libro c’è la storia di Luigi Spadafora il ragazzo di Cosenza che ha riempito un teatro e organizzato una serata di poesie per raccogliere fondi per comprare i computer per una casa d’accoglienza per migranti convinto che la parola, la poesia può cambiare il mondo. C’è la storia dei ragazzi del Francesco t shop che rinnovano vestiti usati e li vendono on line grazie alle sfilate delle amiche più belle e con il ricavato aiutano una casa famiglia di Montevarchi. C’è la storia di zia Caterina che con il suo taxi accompagna i bambini all’ospedale Meyer di Firenze e crea con loro un rapporto fantastico da Mary Poppins degli anni duemila.

Perché sono ancora una minoranza le persone che hanno capito che le proprie difficoltà, le proprie cadute, acquistano un valore vero quando vengono viste come opportunità per il cambiamento?

Assunta. Credo che la motivazione sia da cercare in tre aspetti. Il primo è la nostra difficoltà a credere in noi stessi e nella nostra storia. Tante cadute sono frutto di scelte fatte per assecondare gli altri e, quando si cade per questo motivo, è difficile accettare l’insegnamento. Significa ascoltarsi in modo ancora più profondo. Il secondo aspetto è il condizionamento della società che ci passa il concetto di errore come qualcosa di sbagliato. Sin dalla scuola bisognerebbe allenare i bambini alla consapevolezza dell’errore: per comprenderlo, accettarlo come parte del percorso e farne il punto di partenza per migliorarsi. Il terzo aspetto è che amiamo crogiolarci nel dolore, perché così magari veniamo ascoltati. Un atteggiamento vittimistico dettato, forse, dal fatto che oggi tutto corre talmente veloce da perderci il tempo per stare con gli altri e ascoltarli. Abbiamo fatto nostra l’idea che quando ci lamentiamo gli altri ci prestano attenzione. Il rischio è di restare nell’energia della lamentela e perdersi tutta la bellezza di una relazione basata sulla gioia e non sul lamento. Alzarsi dopo un fallimento, per me, ha sempre rappresentato una grande rinascita.

Gandhi diceva: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” e lui non lo ha solo detto, lo ha fatto. Come possiamo anche noi essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo?

Assunta. Possiamo farlo iniziando proprio da piccole scelte che si rivelano grandi azioni. Cominciamo a selezionare le notizie che leggiamo per esempio: quali storie ci fanno stare bene? Chi sono le persone che possono raccontare di avercela fatta? In “Tutto il bello che c’è…oltre il Tg” ci sono storie di vita vera, persone comuni che hanno saputo portare bellezza nella propria vita e, soprattutto, in quella di altri. Per questo sostengo e divulgo con passione il concetto di giornalismo costruttivo: è l’unica chiave per tornare a sperare in un futuro migliore, ritrovare la fiducia nell’essere umano e trovare il coraggio per fare qualcosa partendo da storie di altri. Il concetto di unità è questo per me: ispirarci a vicenda per andare verso il mondo migliore che tutti desideriamo.

Se dovessi individuare tre parole chiave che descrivano questo viaggio meraviglioso, quali sarebbero?

Silvia. Tre parole chiave: amore la più importante, da cui tutto ha origine. Leggerezza, una parola che piaceva tanto a Maria Grazia che amava la musica, la gentilezza, la bellezza e voleva che anche le cose più importanti fossero raccontate con garbo e leggerezza. Consapevolezza che siamo tutti esseri spirituali incarnati in esseri umani e, quando prendiamo coscienza di questo, cadono le barriere che ci separano dall’altro e possiamo sentirci parte di un tutto.

Assunta. Ascolto: è diventato una necessità dei nostri tempi e rappresenta la chiave per tornare a creare connessione con gli altri. Gratitudine: un ponte solido per costruire relazioni straordinarie. E le relazioni sono la nostra grande opportunità. Scelta: dobbiamo imparare a scegliere di più ascoltando quel guizzo nello stomaco che ci dice “sì, è ciò che fa per me”. Quando scegliamo seguendo la nostra essenza tutto fluisce come deve.

 

S. Vaccarezza, Tutto il bello che c’è… oltre il Tg, My Life, 2018, pp. 212, € 10.00

Cecilia Mattioli

Lavoro con le persone. Amo leggere. Amo scrivere. Provo entusiasmo per qualsiasi cosa mi faccia crescere e non mi stanco mai di imparare

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