Americanah. Nigeria – Stati Uniti andata e ritorno

Americanah‘ è il terzo romanzo della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie e questo è l’incipit:

Princeton, d’estate, non aveva odore, e anche se a Ifemelu piacevano la verde tranquillità dei tanti alberi, le strade pulite e i palazzi imponenti, i negozi un filo troppo cari e la quieta, persistente aria di meritata grazia, era proprio questo, l’assenza di odore, ad attirarla di più, forse perché le altre città americane che conosceva bene avevano tutte un odore ben distinto. Philadelphia aveva l’aroma muffito della storia. New Haven sapeva di abbandono. Baltimora puzzava di salamoia e Brooklyn d’immondizia scaldata dal sole. Ma Princeton non aveva odore. Lí le piaceva respirare a pieni polmoni. Le piaceva osservare la gente del posto che guidava con ostentata cortesia e parcheggiava le auto ultimo modello davanti al negozio di prodotti biologici in Nassau Street, davanti ai ristoranti di sushi o di fronte alla gelateria dai cinquanta gusti diversi, peperoncino incluso, o fuori dall’ufficio postale, dove gli impiegati espansivi balzavano incontro ai clienti per salutarli. Le piaceva il campus, grave di conoscenza, i palazzi gotici coi muri adorni di tralci di vite e il modo in cui tutto si trasformava, nella fioca luce notturna, in una scena spettrale. Le piaceva, più di ogni altra cosa, il fatto che in quel luogo di agio e benessere poteva fingere di essere un’altra, una che per concessione speciale era stata ammessa a un sacro circolo americano, una ammantata di certezze.


Già da questa descrizione risulta evidente la differenza tra la Nigeria e l’America, tra la vita che Ifemelu ha vissuto e quella che cerca trasferendosi negli Stati Uniti. La protagonista non riesce più a sopportare la dimensione claustrofobica della sua Nigeria e decide di fare il salto verso il nuovo mondo; lascia tutto, famiglia, amici, il fidanzato Obinze e parte.americanah libro
All’inizio il suo unico punto di riferimento in America è la zia Uju e il pensiero più tranquillizzante è che, prima o poi il suo fidanzato la raggiungerà per progettare il futuro insieme. È un passaggio che cambia letteralmente tutto: i colori, i paesaggi, le abitudini, i comportamenti, il cibo, l’abbigliamento, l’acconciatura dei capelli, la lingua, l’accento, il significato delle parole. È un’esperienza radicale, nella quale Ifemelu deve imparare di nuovo ogni cosa; ma l’esperienza che, secondo me, racchiude il significato profondo del libro è che per la prima volta qui, negli USA, acquista un significato il colore della pelle.

A complicare tutto c’è la questione della razza. Ifemelu non aveva mai saputo di essere nera: lo scopre negli Stati Uniti, dove la società sembra stratificata in base al colore della pelle.


Prima, la ragazza nigeriana non si era mai pensata nera, perché quello era il colore della sua terra e della sua gente. Qui, nell’evoluto Occidente, cambia tutto, anche e soprattutto la percezione del proprio colore. Tutto giocato nell’alternanza di passato e presente, Chimamanda Ngozi Adichie ci fa vivere accanto alla sua protagonista. Ben presto il nuovo quotidiano allontana la vecchia vita: il legame di coppia con Obinze si interrompe a causa di un evento ben preciso, i genitori che sente regolarmente al telefono sembrano sempre più lontani come la Nigeria, ma senza mai abbandonare la dimensione del ricordo. È un cordone ombelicale che non si taglia: nonostante Ifemelu abbia tutto ciò che risponde agli standard americani, una relazione soddisfacente, una casa, un lavoro, amici, un blog attraverso il quale comunica i suoi valori alla comunità delle donne di colore e non solo, sente che il suo posto non è lì.
L’esperienza americana serve alla protagonista per completare la sua identità e questo accade solo nel momento in cui riesce ad accettare la sua “diversità”.
È proprio questo passaggio, questa nuova consapevolezza di sé che impone a Ifemelu di tornare a casa, in Nigeria, dove le sue radici sono rimaste salde nella terra che l’ha vista nascere e che sarà per sempre sua.
Un romanzo corposo in cui la storia d’amore tra i protagonisti Ifemelu e Obinze sembra più che altro un espediente narrativo, un filo conduttore che permette all’autrice di realizzare il suo vero scopo: affrontare la condizione della donna, emigrazione ed emarginazione razziale, le tematiche che le stanno a cuore.
Non sapevo cosa aspettarmi da ‘Americanah‘. Non è una lettura facile, perché è un romanzo che si può ricondurre a più categorie: romanzo autobiografico, di formazione, di analisi sociologica e anche un po’ d’amore. Il punto di vista è chiaro, la posizione dell’autrice-protagonista mai fraintendibile. La scrittrice è molto brava a far emergere le contraddizioni di un mondo in cui comportamenti e situazioni uguali ottengono effetti e interpretazioni estremamente diverse. 
In un post del suo blog Razzabuglio, Ifemelu scrive:

Se usate il color carne nella biancheria intima e nei cerotti, sapete già che non sarà intonato alla vostra pelle?


Cosa intendiamo quando diciamo ‘color carne’? Non è lo stesso per tutti.
Una banalità che rimanda a una questione ben più importante; un esempio di una infinità di situazioni analoghe alle quali si pensa sempre e solo dal proprio punto di vista. Come romanzo non mi ha folgorata, ma è di certo un libro che ci impone di riflettere su noi stessi, sugli altri e su tutti i preconcetti e i pregiudizi dei quali siamo imbevuti al punto da non rendercene nemmeno più conto. ‘Americanah‘ è un romanzo che obbliga ad aprire gli occhi per imparare a dare importanza a particolari solo apparentemente di poco conto. Questo romanzo è un viaggio andata e ritorno per la protagonista Ifemelu, ma anche per il lettore, perché nessuno dei due, alla fine del percorso, potrà dire di essere come prima. Per dirla con Steve McCurry, è un libro in cui

il significato del viaggio è il viaggio stesso

Chimamanda Ngozi Adichie, Americanah, Einaudi, 2015, pp. 501, € 15.00 (trad. A. Sirotti)

Cecilia Mattioli

Lavoro con le persone. Amo leggere. Amo scrivere. Provo entusiasmo per qualsiasi cosa mi faccia crescere e non mi stanco mai di imparare

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