Le assaggiatrici. Cosa permette di vivere sotto una dittatura?
È proprio vero che è inutile cercare di sfuggire al proprio destino. Rosa Sauer, la protagonista de “Le assaggiatrici” arriva a Gross-Partsch, nell’autunno del 1943, in fuga da Berlino, nel tentativo di sopravvivere ai bombardamenti. La verità è che questo villaggio, nel quale abitano i genitori di suo marito impegnato sul fronte russo, è incredibilmente più vicino alla “Tana del Lupo”, il rifugio segreto di Hitler.
“«Mangiate,» dissero dall’angolo della sala, ed era poco più che un invito, meno di un ordine.”
È questo il nuovo lavoro di Rosa e di altre nove donne reclutate dalle SS. Sono le assaggiatrici di Hitler e ogni giorno, tre volte al giorno, mangiano tutto ciò che è destinato al Führer prima di lui, per scongiurare qualsiasi tentativo di avvelenamento. Consumano i pasti sempre un’ora prima del dittatore e rimangono un’ora in osservazione, esattamente il tempo che il veleno, se ci fosse, impiegherebbe ad agire. Un lavoro che Rosa Sauer svolge ogni giorno nella consapevolezza che ogni pasto potrebbe essere l’ultimo. Un incarico a tempo determinato o indeterminato, senza possibilità di saperlo se non in quell’ora dopo il pasto, così terribilmente simile ad una roulette russa.
Il gruppo delle assaggiatrici è eterogeneo: alcune, le “esaltate”, sono fiere di quell’incarico, altre, tra cui Rosa, lo subiscono almeno in parte. Rosa è antinazista convinta, ma nonostante questo ogni giorno, contro voglia, mette a rischio la propria vita per salvare quella del grande nemico. Lo fa per i duecento marchi di stipendio al mese e perché (non) sa cosa succederebbe se rifiutasse di svolgere il proprio lavoro. All’interno di quella mensa forzata, tra le dieci donne si creano dinamiche relazionali, amicizie, rivalità, alleanze. Rosa è fin da subito “la berlinese”, quella che viene dalla città, nei confronti della quale tutte nutrono iniziale diffidenza. Poi, nel 1944, arriva un comandante nuovo e i già precari equilibri che tra le dieci donne si erano faticosamente creati sono di nuovo da ricostruire. Soprattutto in virtù del legame, determinante e inspiegabile, che si crea tra Albert Ziegler e Rosa Sauer.
Rosella Postorino scrive questo romanzo per raccontare una storia realmente accaduta che l’ha colpita molto nel momento in cui ne è venuta a conoscenza. È la storia vera di Margot Wölk, l’ultima assaggiatrice di Hitler ancora in vita, che non aveva mai rivelato a nessuno la sua esperienza e che aveva deciso di raccontarla a 96 anni. Rosella non ha fatto in tempo a intervistarla e questo romanzo è il suo modo di dare voce a Margot.
Leggere questo romanzo significa necessariamente ripensare a un periodo tragico, drammaticamente tragico dell’umanità, di fronte al quale siamo spesso tentati di giudicare il comportamento di alcune persone in modo semplicistico e superficiale. Lo stesso Primo Levi avverte che non è possibile prevedere quale possa essere la reazione di una persona che si trovi in condizioni estreme. È il caso di tutte le persone che hanno vissuto la tragedia di qualsiasi dittatura, nel caso di questo libro di quella nazista e fascista dalla parte dei perseguitati. È molto facile dire “al posto loro io mi sarei comportato diversamente” e forse è proprio per questo che Margot Wölk ha mantenuto il segreto per tutta la vita.
“Cosa permette agli esseri umani di vivere sotto una dittatura?”
In un regime repressivo e persecutorio, qual è il confine, oltrepassato il quale, una vittima diventa complice? Rosa Sauer rischia ogni giorno la propria vita per salvare quella di Hitler. Non avrebbe mai scelto il lavoro di assaggiatrice, le è capitato, ma lo ha fatto, e lo ha fatto con la consapevolezza di essere stipendiata dal maggior responsabile del disastro storico che lei stessa stava vivendo e nel quale ha pagato un prezzo altissimo. Sente il bisogno di trovare una giustificazione a se stessa prima che agli altri:
“Ogni lavoro, del resto, implica dei compromessi. Ogni lavoro è una schiavitù: il bisogno di avere un ruolo nel mondo, di essere incanalati in una direzione precisa, per sottrarsi al deragliamento, alla marginalità.”
Rosa Sauer racconta in prima persona questo periodo del suo passato ed è questo il motivo per cui è impossibile pensare che non si senta colpevole per ciò che ha fatto.
“La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana.”
Esattamente come di fronte a “The reader”, che racconta un’altra vicenda drammatica di questo periodo storico, preferisco non giudicare, ma ascoltare il consiglio di Primo Levi:
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.”
R. Postorino, Le assaggiatrici, Feltrinelli, 2017, pp. 285, € 17.00