“Lo straniero”. La verità di essere e di sentire
Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so.
Questo è l’incipit de ‘Lo straniero’ di Albert Camus. Un inizio che lascia quanto meno perplessi, ma che introduce, senza preamboli, nel clima che ci accompagnerà per tutto il romanzo. Lo straniero è Meursault, un impiegato che vive ad Algeri e conduce un’esistenza del tutto anonima, nella quale succede poco.
Nel romanzo i fatti salienti sono due e si collocano entrambi nella prima parte: la morte della madre, che apre il romanzo, e l’uccisione da parte del protagonista di un arabo dopo un litigio scoppiato per futili motivi che, per giunta, non lo riguardano nemmeno in prima persona. Tutta la seconda parte, invece, è occupata dal processo a cui Meursault è sottoposto, dopo l’omicidio, che culmina nella sua condanna a morte; processo che affronta dopo essersi consegnato spontaneamente alla polizia che lo mette in carcere. Ci sono anche altri episodi che definiscono la quotidianità dello straniero, ma sono tutti meno significativi rispetto ai due che costituiscono l’ossatura della trama del romanzo.
Anche i personaggi sono pochi: c’è Maria, una ragazza che incontra per caso e che si innamora di lui, Raymond un amico di cui si sa poco e un vicino di casa con un cane. Gli altri personaggi sono funzionali alla storia e hanno con Meursault rapporti inevitabili ma non significativi: mi riferisco al prete che celebra il funerale della madre, all’avvocato che assume la sua difesa, al giudice che gestisce il processo e pochi altri che quasi potremmo definire alla stregua di comparse.
Il sentimento dominante de ‘Lo straniero’ è, senza ombra di dubbio, l’indifferenza. È con indifferenza che il protagonista vive la sua vita, affronta le situazioni, gestisce le poche relazioni che ha (Meursault non ha amici, solo persone che vede più spesso di altre), reagisce a ciò che accade. Ho scritto ‘affronta’ e ‘reagisce’, ma credo non siano verbi del tutto appropriati in riferimento all’impiegato di Camus, perché l’indifferenza è tale per cui credo sia più appropriato dire ‘assiste’ se non addirittura ‘subisce’. L’indifferenza che Camus racconta attraverso Meursault è quella di chi ritiene, con grande lucidità, che tutte le vite sono uguali, piatte e prive di illusioni. Siamo di fronte a un’indifferenza consapevole di chi sa che prima o poi
si finisce per abituarsi a tutto.
Per l’impiegato tutto è equivalente: una situazione vale l’altra come anche ogni persona vale l’altra e, in questa logica, l’unico approccio possibile è quello meccanico, totalmente privo di sentimenti o di empatia.
Per questo Camus ci propone un personaggio con uno sguardo distaccato da tutto e da tutti. Meursault è straniero in senso letterale e metaforico, ma quello che più colpisce è che è straniero anche a se stesso. In molti momenti del romanzo si ha l’impressione che il protagonista, che è la voce narrante, racconti i fatti come se stessero accadendo a qualcun altro e non a lui; è come se diventasse spettatore della sua vita e la guardasse con l’indifferenza che, di solito, si accorda ad avvenimenti che percepiamo come lontani e di nessun interesse.
Dobbiamo aspettare la fine della seconda parte per assistere a un cambio di atteggiamento, quasi impercettibile. Durante la prigionia, il detenuto Meursault non è angustiato né tanto meno disperato (in fondo ha scelto lui di non difendersi in nessun modo), ma avverte il problema del tempo. Le giornate, a maggior ragione in cella, sono tutte uguali e l’unico rimedio è il ricordo.
Non ero eccessivamente infelice. Il solo problema, ancora una volta, era di ammazzare il tempo. E ho finito per non annoiarmi più affatto dall’istante in cui ho imparato a ricordare.
Ricordare, per Meursault è, in un certo senso, riflettere, forse anche uscire un po’ dall’apatia e dall’indifferenza che nascono dalla constatazione che
tutti sanno che la vita non vale la pena di essere vissuta.
‘Lo straniero’ è un romanzo molto particolare che si ama o si odia; non credo sia possibile, paradossale dirlo in questo caso, leggerlo con indifferenza.
Al di là della storia che racconta, la genialità di Camus sta nello stile con cui è strutturato il racconto e nel linguaggio con cui è raccontato. La forma de ‘Lo straniero’ è tale per cui l’indifferenza è ovunque. La prosa è scarna ed essenziale anche se a tratti diventa minuziosa; il ritmo è lento, non ci sono accelerazioni né rallentamenti. Questo non significa che manchi la potenza narrativa, anzi credo stia proprio in questo: nella capacità di Camus di adottare un registro narrativo e ritmico capaci di riprodurre i sentimenti di indifferenza e di estraneità alla vita. Ne ‘Lo straniero’ la forma e il contenuto sono perfettamente in sintonia e l’effetto è potentissimo.
È un romanzo che può incutere soggezione se si pensa alla grandezza del suo autore; io stessa non ho deciso a cuor leggero di leggerlo, perché mi aspettavo una scrittura impegnativa e un argomento sul quale è obbligatorio – terminata la lettura – riflettere e porsi degli interrogativi.
Una piccola annotazione: nel 1957 Albert Camus vince il Nobel per la letteratura,
per la sua importante produzione letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo.
La “coscienza umana del nostro tempo” è quella di sessantatré anni fa, ma non sono così sicura che non sia anche quella di oggi; ecco perché ‘Lo straniero’ è un classico senza tempo. Ho solo un dubbio (forse illegittimo) in merito alla traduzione italiana del titolo originale ‘L’étranger’: dopo aver letto questo grande capolavoro, non escluderei che avrebbe anche potuto essere ‘L’estraneo’ alla vita, a ciò che accade, alle relazioni, agli altri e a se stesso.
A. Camus, Lo straniero, Bompiani, 2015, pp. 157, € 12.00 (trad. Sergio Claudio Perroni)