Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google
“Attenzione, lettore. Ci sono tante cose che non sai di non sapere. Per esempio: non sai che questo libro è stato stampato con due copertine diverse, anche se superficialmente simili. Ne hai scelta una, quasi per caso. Ma sei sicuro che sia stato davvero per caso? Forse la copertina che hai scelto senza saperlo dice molto di te. E questo libro ti spiegherà il perché.”
Questo è ciò che è scritto sul retro del libro. Ovviamente la prima cosa che ho fatto è stata guardare in che senso le copertine fossero due; una è quella della foto del post, ovvero la faccia triste. L’altra è il contrario, ovvero la faccia che ride. A me è toccata, o forse ho scelto, quella con la faccia triste. Anche il risvolto di copertina cambia in modo coerente con l’immagine, e il mio mi chiede “Perché quella faccia triste, lettore? Non sapere ti rende infelice.” E in effetti un po’ ha ragione, non sapere mi dispiace. Tutta questa premessa per introdurre il libro “? Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google” di Antonio Sgobba, il cui vero titolo, in realtà è un punto interrogativo scritto in rosso. Siamo molto più abituati ad affrontare il tema della conoscenza, e definiamo l’ignoranza per differenza. Ciò che non è conoscenza è ignoranza. Se fosse davvero così, sarebbe semplice. Il paradosso sta proprio qui. In realtà, conoscenza e ignoranza non sono affatto complementari. L’aumentare della conoscenza non implica il diminuire dell’ignoranza, anzi, è vero il contrario. Tra le definizioni del concetto di ignoranza contenute nel libro, la più immediata sembra quella proposta da Rescher:
“Il più chiaro indice di ignoranza è l’incapacità di rispondere a domande sensate in modo convincente (anche per noi stessi)”.
Il presupposto per poter parlare di ignoranza è che esistano domande sensate che, in quanto tali, devono avere sicuramente una risposta; se non sappiamo rispondere, siamo ignoranti. Non fa una piega. La complessità nasce dal fatto che la nostra propensione, di fronte a una domanda, è rispondere, anche se non sappiamo nulla di ciò che ci viene chiesto. L’inclinazione naturale è quella di riempire i silenzi e, per farlo, l’ignoranza si trasforma velocemente in errore. L’errore non è ignoranza, un passaggio importante.
Lo scenario però è decisamente più complesso e le categorie sono quattro:
- ciò che sappiamo di sapere (conoscenza consapevole)
- ciò che sappiamo di non sapere (ignoranza consapevole, quella di Socrate, per intenderci)
- ciò che non sappiamo di non sapere (ignoranza inconsapevole)
- ciò che non sappiamo di sapere (conoscenza inconsapevole)
Possiamo studiare ciò che sappiamo di non sapere, ma non possiamo nulla di fronte a ciò di cui ignoriamo l’esistenza. Sarebbe come andare sul dizionario per cercare il significato di un termine di cui non conosciamo l’esistenza. La categoria di ciò che non sappiamo di non sapere è proprio quella che impedisce l’azzeramento dell’ignoranza e che dà vita all’effetto Dunning-Kruger:
“Quando le persone sono incompetenti nelle strategie che adottano per ottenere successo e soddisfazione, sono schiacciate da un doppio peso: non solo giungono a conclusioni errate e fanno scelte sciagurate, ma la loro stessa incompetenza gli impedisce di rendersene conto. (…) In altre parole: la nostra stessa incompetenza nuoce alla nostra capacità di riconoscere la nostra incompetenza.”
Spesso le persone ignoranti non sanno di esserlo, e quanto più sono ignoranti, tanto più sono presuntuose.
Una volta definite le varie tipologie di ignoranza e stabilito che non è eliminabile, l’attenzione di Antonio Sgobba si sposta sulla funzione sociale dell’ignoranza e sul rapporto con google e con il web in generale.
È indubbio che l’ignoranza abbia una funzione sociale, e costituisca un grande vantaggio evolutivo. È la condizione che permette agli uomini di collaborare tra loro e di strutturarsi in comunità. Ognuno è depositario di un sapere individuale e deve affidarsi agli altri per avere accesso ad altre informazioni e sfruttarle. Se infatti immaginassimo una realtà fatta di individui con molta più conoscenza e quasi nessuna ignoranza, sicuramente saremmo di fronte a una società fatta di uomini autosufficienti, egoisti e per nulla disposti a collaborare. Quanto a Google e al web, secondo Sgobba, sono gli strumenti che hanno creato nell’uomo l’illusione dell’onniscienza. Avere qualsiasi informazione in tasca, a portata di click, ha creato in noi un grande inganno. La nostra mente non è illimitata e onnipotente e, per sopperire a questo limite, si avvale di sistemi di memoria esterni dai quali attingere le informazioni che non ha. Può trattarsi di persone, ma sempre più spesso è internet, l’unico hard disk esterno in grado di fornire all’istante qualsiasi informazione in qualsiasi ambito. Siamo così di fronte ad un altro grande inganno, ovvero la convinzione che tutte le informazioni che recuperiamo da internet fossero già in nostro possesso, quando in realtà non lo sono mai state e, forse, non lo saranno neanche mai.
Per rimediare, anche se solo in parte, all’ignoranza bisognerebbe prima ammetterla. E, anche ammettendola, il dato certo è che le campagne contro l’ignoranza non hanno alcun senso. Oggi che le nuove tecnologie ci danno l’impressione di poter accedere a qualsiasi contenuto in qualsiasi momento, sarebbe invece importante accettare i limiti della conoscenza e rivalutare la dimensione dell’incertezza. Se ci pensiamo bene, anche l’incertezza è un elemento imprescindibile per l’evoluzione. La ricerca scientifica si basa sull’incertezza e su ciò che ancora non si conosce; le relazioni tra gli esseri umani hanno una loro ragion d’essere solo in quanto nessuno di noi sa tutto degli altri e, in sociologia, la fiducia nei confronti dell’altro è il tramite tra conoscenza e ignoranza; il futuro stesso è la dimensione dell’ignoto per eccellenza. Se sapessimo già tutto che motivo avremmo di continuare a ricercare? Che senso avrebbe la nostra esistenza se fosse tutto già completamente dato? Che stimolo sociale avremmo se tutti sapessimo tutto di tutti?
A. Sgobba, ? il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google, Il Saggiatore, 2017, pp.344, € 20.00