Nessuno accendeva le lampade
Felisberto Hernández: chi era costui? Una frase di manzoniana memoria che meglio di qualsiasi altra descrive la meraviglia che ho provato di fronte al nome di questo autore che non avevo mai sentito nominare prima d’ora. Ad attrarmi è stato il titolo ‘Nessuno accendeva le lampade’, una raccolta di dieci racconti straordinari, pubblicata in italiano dall’editore Einaudi per la prima volta nel 1947. Calvino, che ne è stato il curatore, diceva che Felisberto Hernández
non somiglia a nessuno: a nessuno degli europei e a nessuno dei latinoamenricani, è un ‘irregolare’ che sfugge a ogni classificazione e inquadramento ma si presenta ad apertura di pagina come inconfondibile.
Se dovessi pensare a una parola che possa descrivere le sensazioni che ho provato durante la lettura di ‘Nessuno accendeva le lampade’, la più azzeccata sarebbe straniamento. In ogni racconto ho incontrato personaggi particolari e stravaganti, ognuno con caratteristiche che lo rendono unico e, a volte, così surreale da essere proprio per questo reale. Ci sono pianisti stralunati, balconi che si suicidano crollando all’improvviso, maschere del teatro che hanno una luce strana negli occhi grazie alla quale vedono completamente al buio, donne che non escono di casa ma che scelgono con cura il colore dell’ombrellino con cui passeggiare in cortile, uomini che umiliano le bottiglie di vino prendendole per il collo e girandole a testa in giù senza un briciolo di rispetto.
Quel che è certo è che non so come costruisco i miei racconti, perché ciascuno di essi ha una vita eccentrica tutta sua. Ma so che vivono in lotta con la coscienza per evitare gli stranieri da lei raccomandati.
Le scelte letterarie dell’autore sono uniche nel loro genere e spesso riportano alla memoria del lettore ciò che accade anche nei cartoni animati. Hernández dà vita a oggetti e parti del corpo che diventano in questo modo protagonisti delle storie che racconta. Un altro elemento che ho apprezzato molto in ‘Nessuno accendeva le lampade’ è che i racconti non hanno un finale univoco. Non c’è un unico epilogo possibile, ma c’è una voluta sospensione che sta al lettore colmare con la propria idea. I protagonisti, gli oggetti che non ti aspetteresti mai, vivono la loro avventura e la conclusione è a carico del lettore che può decidere liberamente senza nessun condizionamento, nemmeno quello della razionalità a tutti i costi. Leggere i racconti di Hernández significa essere disposti a compiere un’esperienza unica, nella quale niente è come sembra, ma alla fine tutto trova una sua collocazione e una sua ragion d’essere. La commistione tra reale e immaginario, tra assurdo e verosimile, tra oggetti che si animano e persone che perdono la loro autonomia, crea una vertigine narrativa che diventa esperienza estraniante ai limiti di un assurdo dal quale non si può che rimanere stregati.
L’aspetto più affascinante della scrittura di questo scrittore è la sua capacità di dare vita alle parole nel senso letterale del termine.
Non ho voluto più smuovere i ricordi, ho preferito lasciarli dormire, ma loro hanno sognato.
Le parole si animano, portano con sé gli oggetti che descrivono e il lettore non può che immergersi in questo mondo fantastico caratterizzato spesso da buio e silenzio; quel buio e quel silenzio che permettono di fantasticare e recuperare sensazioni che non sapevamo nemmeno più di poter provare. La vita non è solo quella che viviamo, ma anche quella che immaginiamo e scegliere fra uno dei due mondi è rinunciare a qualcosa di cui non ha senso privarsi. Forse è proprio per questo che “Nessuno accendeva le lampade”
F. Hernández, Nessuno accendeva le lampade, La nuova Frontiera edizioni, 2011, pp. 126, € 13.00