La dittatura delle abitudini. Come si formano quanto ci condizionano come cambiarle

“Secondo gli scienziati, le abitudini si formano perché il cervello è sempre alla ricerca di modi per risparmiare energia. Se venisse lasciato ai propri meccanismi, il cervello cercherebbe di trasformare ogni routine in abitudine, perché le abitudini permettono alla nostra mente di ridurre gli sforzi.”

Ebbene sì, il cervello è un organo pigro e, come tale, cerca in tutti i modi di risparmiare energia e fatica. E l’abitudine, in quanto meccanismo consolidato e automatico, permette al cervello di non lavorare. La verità fondamentale è che quando si forma un’abitudine, il cervello non partecipa più al processo decisionale; l’abitudine si realizza mentre il cervello pensa ad altro.
Il circolo dell’abitudine prevede che ci sia un segnale, di fatto un bisogno, che attiva una routine di comportamento il cui risultato è una gratificazione. È un meccanismo semplice, fatto di pochissimi passaggi, ma estremamente potente.
Le abitudini creano bisogni neurologici” che emergono in modo graduale senza che ci si renda conto della loro influenza. Tutti abbiamo delle abitudini, buone o cattive, che ci fanno stare bene o che ci danneggiano. Non si può fare a meno delle abitudini, ma la buona notizia è che non rappresentano un destino ineludibile. In altre parole, una volta capito il meccanismo con il quale si formano, si può decidere di intervenire su di esse per ignorarle, modificarle, sostituirle, mantenerle. Avete notato che non ho detto eliminarle? Le abitudini non si eliminano, si modificano, ma non si eliminano.
Duhigg ne “La dittatura delle abitudini” analizza il meccanismo di formazione e di funzionamento delle abitudini, come riconoscerle e come modificarle, sia a livello individuale che a livello collettivo, aziendale e sociale.la dittatura delle abitudini
I momenti migliori per intervenire sulle abitudini dannose sono sempre momenti di crisi; quando qualcosa in un sistema altera l’equilibrio, si genera una crisi ed è qui che si può visualizzare e mappare il mondo delle abitudini per riportarle al livello di consapevolezza che occorre per intervenire. Questo vale per il singolo individuo, ma anche per le organizzazioni lavorative, politiche e sociali. Per modificare un intero meccanismo in crisi è impensabile intervenire su tutto. Occorre visualizzare le “abitudini chiave” e, alla luce di questa nozione, “il successo non si ottiene correggendo ogni singolo aspetto del sistema, ma identificando alcune priorità centrali.”
Nelson e Winter, studiosi di strategia aziendale, sostengono che

“gran parte del comportamento di un’azienda è da interpretarsi come il riflesso di abitudini generali e di orientamenti strategici provenienti dal passato dell’azienda”.

Le routine riducono l’incertezza ed è questa la ragione per cui diventano il codice di regole non scritte alle quali attenersi per non dover ogni volta ridiscutere tutto e per avere la sensazione di muoversi su un terreno poco o per nulla rischioso.
Le abitudini organizzative funzionano fino a quando l’azienda riesce a mantenere il suo stato di equilibrio e di pace. Appena il sistema si incrina, il codice delle abitudini diventa la trappola all’interno della quale le aziende rischiano davvero tutto. Ma è anche il momento in cui

“le abitudini organizzative diventano abbastanza malleabili perché sia possibile riassegnare le responsabilità e al tempo stesso stabilire un miglior equilibrio dei poteri.”

Un leader capace lo sa e sfrutta l’opportunità.

A livello sociale succede la stessa cosa. Ricordate il caso di Rosa Parks che nel 1955 non accettò di cedere a un bianco il suo posto a sedere sul bus? Non era la prima passeggera di colore ad essere incarcerata per aver infranto le leggi segregazioniste, eppure fino a quel momento non era successo nulla, nessuna protesta, nessun movimento per la rivendicazione dei diritti da parte della comunità nera. Perché?

“Un movimento ha inizio a causa delle abitudini sociali di amicizia e dei forti legami fra conoscenti stretti; cresce a causa delle abitudini di una comunità e dei deboli legami che tengono insieme clan e gruppi confinanti; dura nel tempo perché i leader offrono ai partecipanti nuove abitudini che creano un rinnovato senso d’identità e proprietà.”

Nel caso di Rosa Parks queste tre condizioni erano presenti contemporaneamente e la crisi ha dato vita ad un cambiamento delle abitudini radicate fino al punto da diventare inconsce.

Duhigg dimostra come il meccanismo di genesi, funzionamento e consolidamento delle abitudini sia lo stesso a livello individuale, aziendale, politico, sociale.
Conoscere questo sistema è il punto di partenza per rendersi protagonisti del proprio cambiamento. La differenza sta tutta nel comprendere che cosa possiamo decidere e che cosa crediamo di non poter decidere.
Un viaggio affascinante all’interno delle abitudini che può continuare e ampliarsi grazie all’immenso apparato critico che l’autore fornisce per permettere al lettore di approfondire e continuare il suo percorso.

C. Duhigg, La dittatura delle abitudini, Corbaccio, 2012, pp. 432, € 18.80

Cecilia Mattioli

Lavoro con le persone. Amo leggere. Amo scrivere. Provo entusiasmo per qualsiasi cosa mi faccia crescere e non mi stanco mai di imparare

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